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Antonio Corazza (1929-1980): la pittura come linguaggio popolare
(testo di  Raniero Sabarini )

La regione Friuli-Venezia-Giulia dedicò, nel settembre-novembre del 1978, una mostra antologica ad Antonio Corazza, svoltasi nel Dongione di Porta Udine a Palmanova, in cui l'artista friulano espose i risultato del suo lavoro pittorico tra il 1953 e il 1978. L'improvvisa scomparsa del maestro, a poco di un anno dalla   grande esposizione, fa  di questa mostra quasi un testamento, a conclusione di una attività artistica unica nel suo genere, che ci permette di ripercorre compiutamente l’attività dell’artista.
Corazza nasce a Bologna nel 1929, ma è immediatamente portato a Cervignano del Friuli in provincia di Udine. Qui, mentre si prepara e si compie la tragedia della seconda guerra mondiale, egli si forma all'arte in mezzo agli umili lavoratori della zona. La sua prima ma­niera è caratterizzata da un espressionismo neorealistico d'istinto, antiaccademico, spontaneo che lo ricongiunge idealmente all’opera di Lorenzo Viani. La sua straordinaria inventiva nel campo delle tecniche lo porta a immaginare, e a realizzare, l'affresco su tela.
L’obiettivo delle sua attività giovanile, a cui peraltro si manterrà fedele per tutta la vita, consiste nel fare della sua pittura il mezzo con il quale la gente umile, il popolo minuto, parla di se stessa, si racconta attraverso i suoi quadri. Già la sua prima opera, i Resti del rancio” del 1953 è una matura espressione di questa tensione morale.
I personaggi dei suoi quadri sono gli ospiti del ricovero pubblico (“Casa di ricovero”), gli zingari visti fuori dello spettacolo e del mito romantico, nel loro accampamento, nomadi fissati nel loro cupo e smarrito silenzio (“Zingari”,“Accampamento di zingari”,“Contadini”). Oppure accattoni abbandonati ai margini celle strade, svuotati persino della forza e della fiducia occorrenti per mendicare (“Il depresso I”, “Il depresso II”,“Emarginazione), oppure la piccola folla degli emarginati che si abbandonano all'alcolismo, la droga di sempre dei poveri, raffigurati esattamente come essi stessi si vedono, attraverso le loro autodistruttive allucinazioni (“I figli dell'alcolizzato I ”, “I figli dell'alcolizzato II”).
Sono infine i boscaioli, ridotti a esili silhouettes che quasi si confondono con 1'ambiente in cui lavorano, e interpretati e rivissuti come un elemento del mondo vegetale in cui si immergono (“Boscaioli”).
Il paesaggio della bassa friulana si manifesta agli occhi del pittore nel suo duplice aspetto, morbido e dolce a contemplarsi, quanto aspro, resistente e ostile a dedicargli lo sforzo quotidiano (“Paesaggio bassa friulana I”,“Paesaggio bassa friulana II”, “Paesaggio bassa friulana III”).
Le Nature morte, in questo ambiente di miseria, sono "I rifiuti” non certo brillanti e carezzevoli consumi destinati ad abbellire l'intimità borghese (“Natura morta”, “Rifiuti I”, “Rifiuti II”).
In alcuni quadri emerge in primo piano il Bracconiere, l'innocente fuorilegge spavaldo e ambiguo (“Il bracconiere I”, “Il bracconiere II”).
E da ultima l'unica forma stabile di associazione umana, la Famiglia e il Villaggio dei pescatori
(“Famiglia di pescatori”, “Villaggio di pescatori”).
Questo mondo di miseria e di fatica si riassume nel Venditore di pesce, dall'inquadratura neorealistica, sviluppato sulle verticali, alto e solenne come volesse rivendicare una non abbandonata fierezza (“Il venditore di pesce”).

Corazza ha ormai esaurito il primo periodo della sua vita artistica: dopo aver partecipato alla vicenda del "terzo mondo" friulano sia nella terra d'origine sia nelle varie emigrazioni che lo spingono in mezza Europa, si trasferisce a Roma. Qui affina straor­dinariamente le sue tecniche, reinventa in modo nuovo il graffi­to, allarga la gamma dei suoi materiali pittorici, si fabbrica da sé i colori con resine, piombo, polveri di ceramiche, terre manipolate con l'inventiva del grande artigiano.
Nella Roma della fine degli anni cinquanta scopre le contraddizioni e la disumana violenza che scuotono la vita delle metropoli, e le interpreta mediante un sorprendente, modernissimo reinnesto di fastosità lineari barocche e di impreviste accensioni di colori e luci. Alcuni critici lo ritengono esponente di una nuova "religiosità lai­ca" e vedono, nelle opere di questo secondo periodo, un ritorno a moduli di cultura classicheggiante.
L’artista ritorna anche al tema del paesaggio che ora si scompone nei suoi elementi e si ricompone in una sintesi astratta (“Paesaggio”).
Nelle squallide periferie i ragazzi compiono 1'apprendistato alla violenza (“Ragazzo che gioca alla guerra I”, “Ragazzo che gioca alla guerra II”, “Ragazzo che gioca alla guerra III”), sotto gli occhi attoniti delle loro madri (“La madre”). Questa violenza, vissuta su una filigrana di colori cupi e contrastanti, sembra far riemergere dalle baracche della metropoli gli angeli di Guido Reni - angeli di morte, in cui Corazza, con l'anticipazione dell’artista, già alla fine degli anni ’60 individuava gli stati psichici del terrorismo. ,
Le nature morte, ormai, sono fiori dipinti in materia ruvida, e su un tenue fondale azzurro esplodono a tutto colore, quasi simbolo estremo di una ingenua vitalità naturale (“Fiori I “,“Fiori II “,“Fiori III” ).
Ma la condizione umana nell’opera di Corazza permane quella di sempre, nel recupero, tutto umanizzato, dell'antico simbolo della croce. Qui i colori scompaiono, si punta sul linguaggio della monocromia e del graffito, di ciò che è sempre povero, sconfitto, eguale (“Uomini crocefissi I”, “Uomini crocefissi II”, “Uomini crocefissi III”, “Uomini crocefissi IV”,“Uomini crocefissi V, Uomini crocefissi VI”, “Uomini crocefissi VII”).  E i crocifissi sono, in realtà, i dispersi di guerra (“Il disperso in guerra”), i  contadini stremati da una giornata di lavoro, impietriti ai margini dei campi terrosi (“Il riposo del contadino”).

Si apre ora un nuovo periodo del maestro friulano, fatto di ulteriore evoluzione delle tecniche e di una sofferta autocritica.
Siamo agli inizi degli anni ’70 caratterizzati da gravi tensioni a livello internazionale e anche in Italia.
Allora Corazza fu spesso accusato di eccessivo pessimismo, di eccessiva insistenza sulla drammaticità della situazione sociale. Egli allora puntava ad una massima semplificazione del linguaggio: un nuovo uso del disegno a china gli consentì esporre con lucida linearità la minaccia atomica vista dall'interno del mondo infantile, nel contesto della minuta vita quotidiana. Per altro verso, invece, elaborò una nuova tecnica di pittura a bassorilievo che portava alla massima intensità drammatica il discorso della monocromia. Il suo programma, l’obiettivo morale della sua pittura, consistente, come abbiamo detto, di far parlare nei suoi quadri direttamente la gente minuta, sembrò raggiungere il suo punto culminante.
La denuncia della violenza, in qualsiasi forma si presenti, viene esplicitata senza filtri in alcune opere molto significative:

Il più semplice dei mezzi espressivi, il disegno a china, viene caricato di una eccezionale drammaticità, nei partigiani appesi a un palo e fucilati (“La fucilazione”), o nel carro dei morti che, al cen­tro della scena, s'allontana commentato dall'ambigua presenza laterale del soldato con la  ragazza ("L'ultimo viaggio).
I due simboli della vita: i fiori – ovunque avviluppati in catene (“Omaggio alla libertà”) e il pane, al centro del quadro, attorniato da mani urlanti di fame (“Fame nel mondo”).  Ed altri piccoli frammenti di vita: il cardellino (“Il cardellino”), il pesce (“Il pesce”),  due nature morte accostate con popolare gentilezza, con commossa analisi (“Natura morta I”, “Natura morta II”)  fino alla monocromia graffita del campo di buoi, evanescenti forme di una natura che si stempera in memoria (“Il campo di buoi”).
Ritorna anche un tema prediletto di Corazza, il pescatore, questo emblema del lavoro più antico, e pericoloso, più duro e paziente e ingrato, dove acqua e terra si fondono, dove le reti, come diceva Sofocle, esprimono la più raffinata e astuta, ingegneria del mondo primitivo. La rete ritessuta dopo ogni pesca, una fatica di Sisifo: i corpi accovacciati in cui la stanchezza acquista una statuaria sacralità, si incidono sulle terre dei graffiti, sbalzano nei rilievi dove il colore si dirama su raffinate strutture polimateriche (“Pescatori I ”, “Pescatori II ”, Pescatori III ”).
Corazza ha dedicato una lunga riflessione a questo tema, che per lui significa la fatica ininterrotta e senza tempo che contrassegna la vita delle classi subalterne. E voleva raffigurarla con le stesse modalità morali e emotive con cui la vivono gli stessi uomini, protagonisti e vittime d'una società lacerata dalla sopraffazione e dallo sfruttamento (“Pescatori IV ”, “Pescatori V ”).

Siamo ormai agli anni settanta Corazza, che ha scelto risolutamente di porsi come pittore di quel terzo mondo che ancora sottovive all'interno delle società evolute, avverte i sintomi di .una rapida crescita culturale dello strato sociale al quale ha dedicato la sua opera d'artista E' tempo di allagare l'area di riferimento culturale della coscienza popolare, di avvicinare la memoria storica, i moti profondi della coscienza collettiva caricandoli di un nuovo spirito critico.
Egli recupera alcune delle più illustri forme della raffigurazione classica, piegandole ai suoi fini, e innanzi tutto il mosaico e le marmette dell'antichità romana. All'approfondimento della sua ineguagliata maestria tecnica aggiunge una nuova carica d'ironia, un tono più distaccato e meditato. Sono le sue ultime opere, e contengono una sorta di messaggio in direzione d'una rinnovata cultura popolare.
Questo nuovo periodo è caratterizzato dal grande bassorilievo dei pescatori, una sintesi in termini monumentali, quasi un addio al tema che così a lungo si è imposto all'attenzione dell’artista (“Pescatori VI ”).
In questa opera, la tecnica del maestro assume la forma più affinata e spettacolare per potenza di strutture, padronanza di grandi spazi, virtuosismo cromatico, analisi attenta dei più minuti particolari, utilizzo del movimento della materia plastica.
Ritorna ancora il tema giovanile dei boscaiolo, ma ormai trattato ai limiti di una astratta, violenta esaltazione del valore artistico delle strutture materiali che propongono una sintesi di moduli pittorici e scultorei (Il boscaiolo). E torna anche il tema del paesaggio ormai risolto in una fissità senza tempo, con toni cromatici profondi, come riemerso da una lontana memoria (“Paesaggio romano”, “Orto romano”, “Paesaggio della Sabina”). E infine, di nuovo, la guerra, ma come la si vede da parte delle vittime, direttamente prese a bersaglio della violenza irrigimentata e anonima (“Minaccia atomica”, “Minaccia”). Sembrano, questi quadri, l'estremo saluto del maestro ai temi della sua gioventù.
La rappresentazione a mosaico viene affrontata in modo originalissimo: il quadro infatti si sdoppia nel movimento dell'oggetto e del colore, da un lato, e di un ulteriore movimento imposto dallo sviluppo lineare in cui si sciolgono i  ritagliati momenti della materia pittorica (“Natura morta”, “Pesci I”).
Infine, esempio tipico di questa nuovissima tecnica, pesci smerigliati e sporgenti a sbalzo sopra un traslucido fondale (“Pesci II).
Siamo arrivati agli ultimi quadri del maestro. In un bassorilievo i bambini intorno a un cane alludono fin troppo scopertamente a dei piccoli, ignari apostoli intorno ad un agnello pasquale (“Ragazzi”). Oppure gli idoli inventati dall'umana credulità appaiono per quel che sono, esili fantocci inanimati, quasi i mezzi di un surreale gioco di scacchi operanti su una enigmatica scacchiera (“Idoli I”, “Idoli II”). Infine le forme illustri di una statuaria celebrante il dominio di pochi potenti vengono ripresentate, con ironia sottile, per ciò che essi nascondono: violenza e sopraffazione, incisi a crudo su uno splendido fondo rosso volutamente riecheggiante arcaiche suggestioni (“Idoli III”, “Idoli IV”, “Idoli V”, “Idoli VI”).

L'esperienza pittorica di Corazza, bruscamente interrotta dalla morte nel 1980, appena l'artista aveva passato la soglia dei cinquant'anni, si è sviluppata mediante una incessante, progressiva invenzione di tecniche e 1'acquisizione di sempre nuove materie pittoriche. Ma dell’artista  resterà soprattutto quella particolare funzione morale della pittura, che vuole rifuggire dall'accademia per collocarsi risolutamente nel mondo visivo dei lavoratori poveri, al limite dell’emarginazione, per innalzarlo alla comprensione, insieme critica e ironica, della tragicità della condizione umana.  Il che costituisce un autentico insegnamento morale.

 
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